Basandosi sull’esempio della Corea del Sud, si punta a procedere in parallelo con test diffusi e tempestivi.
Intanto, il mondo tecnologico si muove tempestivamente. Sono 770 i progetti proposti al Ministero dell’Innovazione per la lotta contro Covid-19. 50 di questi sono applicazioni per smartphone. Molte idee si basano sul contact tracing: il tracciamento degli incontri delle persone positive o che presentano sintomi nei giorni precedenti alla diagnosi. Al vaglio le implicazioni sulla privacy.
Vediamone qualcuna nel dettaglio:
Sulla piattaforma Innova per l’Italia sono indicati i requisiti per partecipare a questi progetti e vengono forniti chiarimenti sul processo di selezione delle proposte che sarà condotto dal Gruppo di Lavoro costituito da Ministero della Salute, ISS, OMS e un comitato scientifico interdisciplinare.
Si punta verso una maggiore trasparenza e sicurezza ma la tutela dei diritti (e in particolare il diritto a non essere discriminati) non può essere calpestata. Compito dello Stato è bilanciare i diritti in gioco.
Uno dei casi più interessanti, sotto questo profilo, è dato dalla Corea del Sud che è passata in pochi giorni da qualche decina di infetti a decine di migliaia.
La situazione nella città di Daegu (popolazione 2,5 milioni di persone) è diventata insostenibile e le autorità hanno dovuto prendere provvedimenti rapidi e efficaci per contenere un contagio.
Da quel momento il presidente coreano ha dichiarato guerra al virus, una guerra a colpi di tecnologia.
La legge coreana (modificata dopo l’epidemia di MERS del 2015) consente alle autorità di accedere ai dati delle telecamere, a quelli di tracciamento tramite GPS da telefoni e automobili, alle transazioni con carta di credito e altri dati personali per finalità di controllo delle malattie infettive (c’è quindi una specifica base giuridica). L’accesso a questi dati da parte degli operatori sanitari deve comunque essere autorizzato dalle autorità di polizia, ma le modifiche più recenti consentono l’accesso diretto delle autorità sanitarie.
Come funziona? Un’app registra le informazioni del soggetto interessato e in particolare la sua geolocalizzazione. Il soggetto procede poi con un’autodiagnosi, rispondendo ad alcune brevi domande sul suo stato di salute. Le risposte sono condivise con le autorità preposte che possono prendere provvedimenti, compreso imporre la quarantena. Le persone che presentano sintomi sono monitorate, fino a quando non diventa disponibile un letto in ospedale, in una stanza isolata e sigillata. Tramite applicazione si geolocalizza il soggetto per verificare se viola la quarantena.
L’Italia è pronta a tutto questo?